C’è una scena della fictionAdriano Olivetti. La forza di un sogno trasmessa qualche tempo fa sulla Rai, in cui Paola Levi (Francesca Cavallin) regala all’ex marito Adriano Olivetti (Luca Zingaretti), un quadro che agli inizi del XX secolo affascinò l’”intellighentia” di mezza Europa – tra gli altri Freud, Lenin, Hitler- e che tuttora ha una stima molto elevata, nell’ordine di diversi milioni di euro.

La tela è l’”Isola dei morti” (in tedesco, Die Toteninsel) del pittore svizzero Arnold Böcklin (1827-1901) e per più di un secolo la critica è stata pressoché unanime nel ritenere che l’isola raffigurata fosse Pontikonissi davanti alla costa di Corfù, in Grecia.

Nel 2011 però il professor Hans Holenweg, storico dell’arte e docente dell’Università di Basilea, città natale di Böcklin, in occasione dell’apertura di una mostra presso il palazzo comunale di Fiesole intitolata «Isole del pensiero. Böcklin, de Chirico, Nunziante» ha sostenuto che il luogo autentico dell’ispirazione del pittore svizzero fu in realtà il Castello Aragonese di Ischia. Non quindi Pontikonissi in Grecia, nè tantomeno il cimitero degli Inglesi di Firenze dove l’artista svizzero, che nel capoluogo toscano visse per diversi anni, ebbe la sventura di seppellire uno dei suoi dodici figli, la piccola Anna Maria prematuramente scomparsa.

Del resto, l’isolotto roccioso che ospita la fortezza di Alfonso d’Aragona ben si prestava a metafora del regno dei morti, come il mare scuro e la barca a metafora del trapasso, con il nocchiero vestito di bianco icona di Caronte. E proprio la barca sarebbe uno degli indizi a sostegno della genesi “ischitana” dell’opera. Böcklin avrebbe ripreso la scena dalla consuetudine dei pescatori di Ischia Ponte di seppellire i loro cari nel piccolo cimitero di Sant’Anna, proprio di fronte a quel Castello Aragonese su cui l’artista aveva avuto modo di soffermarsi nell’estate del 1879 durante un soggiorno di cura presso Villa Drago di Ischia Ponte. Cioè l’anno prima che l’Isola dei Morti (o meglio la prima delle cinque versioni dell’opera) vedesse la luce.

Holenweg ha aggiunto anche che fu l’autore in persona a confidare al suo allievo Friedrich Albert Schmidt la circostanza che a suggerirgli l’idea del quadro fu proprio il castello ischitano di Alfonso il Magnanimo. Una novità di grande rilievo che, per l’impatto che l’opera ha avuto nella storia del ‘900, non può essere derubricata a semplice curiosità.

L’isola dei Morti affascinò prima Lenin, il padre della Rivoluzione bolscevica del 1917 e, dopo di lui, Adolf Hitler che si aggiudicò all’asta nel 1936 la terza versione dell’opera, quella oggi esposta presso l’Alte Nationalgalerie di Berlino. Per non dire del padre della psicoanalisi Sigmund Freud e di altri grandi pittori come Salvador Dalì e Giorgio De Chirico. Sergej Rachmaninov, pianista, compositore e direttore d’orchestra russo naturalizzato statunitense, arrivò addirittura a comporre un poema sinfonico dal titolo omonimo dell’opera di Böcklin.

Insomma, quando si dice che l’isola d’Ischia è molto di più che un’amena stazione di cura e soggiorno, è proprio a storie come queste, meglio ancora se suffragate da pareri assai autorevoli come quello di Holenweg, che si può fare riferimento. Un’opera concepita a Ischia il cui peso onirico, esoterico addirittura ossessionò il Führer del nazional-socialismo tedesco.