Puntare sulla “bella veduta” o provare a cogliere l’intima, contraddittoria relazione che c’è tra la bellezza dell’ambiente e la “millenaria” sofferenza di chi in quel posto vive?

Il critico e giornalista napoletano Paolo Ricci descrive in questi termini la scelta cui è chiamato ogni artista che voglia misurarsi con il paesaggio campano, in special modo quello ischitano, assai più variegato e ricco di spunti rispetto a quello delle altre isole del Golfo, Capri in testa.

Nel formulare l’alternativa, il critico Ricci esplicita anche la sua preferenza per la seconda opzione, e quindi per quegli artisti che provano a ricondurre ad unità il molteplice, magari sacrificando qualcosa sul piano espressivo a vantaggio dell’essenzialità delle forme e dell’intensità e profondità del colore.

Luigi Coppa (1934) da Forio è uno di questi. Sempre Paolo Ricci però ne sottolinea il metodo “sui generis” mutuato dai lunghi e ripetuti soggiorni africani di questo pittore ischitano profondamente innamorato del continente nero. La particolarità, che – sostiene Ricci – Coppa avrebbe assorbito dall’”arte negra” è la capacità di individualizzare ciò che è generale, così diversa dalla tensione classica, “ellenica“, che invece muove dall’individuo verso l’ideal-tipo.

In tutta la produzione artistica – dal periodo giovanile, durante il quale sono le scene della vita di paese a essere dipinte, passando per il primo periodo africano (Kenia, Congo, Uganda) con il ritorno a Forio e la successiva ripartenza, stavolta per l’Africa sub-sahariana – la pittura di Gino Coppa ha sempre avuto la capacità di mescolare, ricondurre ad unità alto e basso, colto e popolare, la lezione dell’Espressionismo tedesco (appresa a Forio da Eduard Bargheer) con i colori, le suggestioni ischitane, africane, mediterranee.

Dell’arte cosmopolita e locale (oggi si direbbe glocale) di Luigi Coppa, detto Gino, rimasero affascinati il critico letterario Libero De Libero e, soprattutto, Renato Guttuso, uno dei pittori più importanti del ‘900 italiano.

A Gino Coppa, che pure ha sempre avuto un ricco mercato estero, Guttuso organizzò una personale a Roma nel 1975. A Gino Coppa, Guttuso dedicò pure una breve, sentita recensione, pubblicata (come pure quella di Paolo Ricci) nel bel libro “Artisti dell’isola d’Ischia” (a cura di Massimo Ielasi, Società Editrice Napoletana, 1982).


Di seguito, alcuni dei passaggi più significativi
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A Forio vive e lavora in solitudine (ma con gli occhi ben aperti su tutto quel che succede) il pittore Gino Coppa. Non si può non accennare alla «particolarità» dell’isola d’Ischia. «Vasta come un continente» dice De Libero; e che assolve anche funzione di «continente», assai diversa da Capri per la funzione che ha svolto e svolge. Basti pensare a chi sono gli «stranieri», tedeschi, inglesi, americani, ed anche italiani di grande prestigio intellettuale (…) che vanno e soggiornano a Ischia e a come ci vanno. Non per vacanza o «buen retiro». La presenza di questi stranieri è attiva nell’isola (…) Gino Coppa è il frutto più interessante di questo clima.

[…] Bisognerebbe vedere insieme gli acquerelli, i suoi quadri ad olio, piccoli grandi e grandissimi, i quadri africani, i guerrieri e i bisonti per capire il senso di questo suo abbattersi sul foglio e di allargarlo di forme, di corpi che diventano magiche vocatorie fino a far diventare Ischia una nuova Tahiti.

Renato Guttuso