Non avete mai visto la tarantella? Andate lì e chiedete a mio nome di vedere la tarantella; ve la faranno vedere; la ballano bene come pochi sull’isola.”

A parlare è il signor Pisani, “deus ex machina” di Casamicciola nell’ultimo quarto del XIX secolo. L’uomo, ricco e temuto notabile locale, invita lo scrittore danese Jørgen Vilhelm Bergsøe (1835 – 1911) a raggiungere una casa bassa e bianca dalle parti del Monte Epomeo. Il motivo è che in quella casa si balla e si canta tutto il giorno. In quella casa abita una “famiglia felice“.

L’episodio è tratto da “La famiglia fortunata”, novella che a sua volta fa parte della serie “Racconti di spiriti” edita nel 1871. Bergsøe, che qualche anno prima della pubblicazione della raccolta era stato a Casamicciola per curare una fastidiosa gotta, fa un affresco meraviglioso dell’isola d’Ischia, legando nel racconto due delle leggende più famose dell’Italia meridionale: quella, appunto, della tarantella e l’altra, diffusissima in provincia di Napoli, del monacello.

Già, perchè Felicetto, Restituta e i figli sono una famiglia felice, assai dedita al ballo e al canto, grazie alla protezione di un “munaciello” che assicura loro frutti generosi da raccogliere nel piccolo pezzo di terra attiguo all’abitazione. Pergolati con grappoli d’uva che luccicano attraverso le foglie chiare; pomodori rosso porpora; fichi, noci e, soprattutto, un melone saporito come un ananas. Bergsøe, che oltre a essere poeta e scrittore era un naturalista (entomologo), indugia volentieri nella descrizione dei frutti della fertile terra ischitana, senza trascurare i panorami e le tante sorgenti termali.

La scrittura è agile e coinvolgente, rivelatrice delle condizioni di vita dei contadini ischitani alla fine dell’800. Felice, il capofamiglia, è un ciucciaio, fino agli anni ’50 del secolo scorso mestiere assai diffuso sull’isola d’Ischia. Non ha soldi, nè proprietà da portare in dote alla famiglia dell’amata Restituta. Per questa ragione il loro amore è osteggiato, il che getta l’uomo in uno stato di profonda prostrazione. Sofferenza che continua pure dopo il matrimonio, fino a quando il monacello non arriva in soccorso di Felice assicurando raccolti spropositati per il piccolo pezzo di terra a disposizione.

Bergsøe non manca di farlo notare a Felicetto, nel frattempo divenuto il mentore dello scrittore danese: “Giù nella valle vi si definisce la famiglia felice; ma vi si dovrebbe chiamare la famiglia fortunata. Mai avevo visto tanta fortuna tutta insieme in un pezzo di terra così piccolo”. Sono il vino, i frutti della terra e lo stile di vita frugale gli “ingredienti” alla base della felicità di questa famiglia fortunata. Il monacello è lo spirito che dà le carte del destino, in questo caso premiando gli sforzi di un uomo che cerca con tutto se stesso di assicurare il giusto benessere alla propria famiglia.

Come in tutte le favole, l’autore rivela la morale soltanto alla fine dell’opera. Bergsøe si affida ad alcuni versi di Goethe: “Perchè il popolo si agita e grida? – Vuole nutrirsi. Fare figli e nutrirli al meglio che può. Guarda, viaggiatore e fa lo stesso a casa tua! Nessun uomo può andare oltre, per quanto immagini quello che vuole“. (Vilhelm Bergsøe, La famiglia fortunata, Imagaenaria Edizioni Ischia, 2013. Traduzione Laura Mattera Iacono).

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