Forio è stata molti anni, soprattutto nel ventennio che va dall’inizio dei ‘40 alla fine dei ‘50 del ‘900, meta, rifugio, in qualche caso vera e propria dimora, di numerosi artisti e intellettuali provenienti da molte parti d’Italia e dal Nord Europa.

Le motivazioni di questo mini-esodo artistico sono molteplici e vanno ricercate, da un lato, nel “milieu culturale” di quel periodo storico profondamente segnato dalla tragedia della seconda guerra mondiale, dall’altro, nella bellezza incontaminata di un territorio che ben si prestava a fornire l’illusione benevola di un “altrove“, al riparo tanto dalle atrocità della guerra, quanto dalle ipocrisie borghesi in fatto di costumi e stili di vita ritenuti licenziosi.

Naturalmente le cose non stavano esattamente così. Anzi, due bombardamenti: il primo, proprio il giorno dell’armistizio, l’8 settembre del 1943, ad opera degli “alleati” inglesi; l’altro, il 17 di quello stesso mese per mano dell’aviazione tedesca, colpirono rispettivamente il centro storico di Forio e il porto d’Ischia, con l’inevitabile carico di morte, lutti e distruzione.

Ma le cose non stavano così neanche rispetto a una presunta maggiore tolleranza nei confronti dell’omosessualità che, secondo un vero e proprio “pregiudizio al contrario“, si riteneva invece fosse molto diffusa da Napoli in giù.

Fu proprio W.H. Auden, nella sua celebre Good bye to the Mezzogiorno, poesia di commiato da Forio e da quel meridione d’Italia dove aveva vissuto per dieci anni – dal 1948 al 1958 – a smentire la convinzione secondo cui al Sud si facesse all’amore meglio e soprattutto più a buon mercato, chiarendo, di converso, che era stata la volontà di sperimentare un nuovo modo di vivere a spingerlo su un’isola del Mediterraneo.

Avidi di saccheggio: convinti, alcuni, che si faccia all’amore
Meglio nel Sud e molto più a buon mercato
(Il che è dubbio), persuasi altri, che l’esporsi
A un sole violento sia micidiale per i germi

(Il che è chiaramente balordo), e altri, come me,
Nella mezza età, mossi dalla speranza di scovare da
Ciò che non siamo quel che potremo essere in séguito, domanda
Che il Sud sembra non porsi mai.

bargheerQuali che siano state le reali motivazioni che indussero Auden, il pittore Eduard Bargheer ed altri a scegliere Forio e l’isola d’Ischia, quel che è certo, essi trovarono qui le risposte artistiche che cercavano. Bella la testimonianza di Carlo Levi, autore del famosissimo romanzo Cristo si è fermato ad Eboli (nonché anch’egli validissimo pittore) a proposito di Bargheer.

Sopra tutto – scrive Levi nel 1949 – mi piacque il modo con cui parla­va di Ischia, dell’Epomeo, delle cave e delle grotte, dei pescatori e dei pastori, e degli dei agresti, che dividono con loro il pane e si riposano all’ombra dei fichi; di quel mondo di poveri, di solitudine e d’incanto, dove la bizzarra capra è regina, e il mare e la terra sono pieni di presenze invisibili, mescolate di continuo alle più piccole vicende quotidiane. Eravamo in piena guerra, e questo giovane tede­sco pensava e parlava come se la ferocia, la divisione e l’assurda follia non esistessero e non lo toccas­sero: né si lagnava di quanto egli stesso ne avesse sofferto“.

E che Eduard Bargheer avesse sofferto delle atrocità della guerra e di una condizione di assoluta indigenza, in particolar modo nei primi anni della sua permanenza a Forio, è senz’altro vero. Destino comune, del resto, all’altro pittore tedesco, amico di “Don Eduardo”, Werner Gilles, addirittura in patria messo al bando dal nazismo come “artista degenarato“.

mariaeAudenLa circostanza singolare, su cui poi nel tempo la pubblicistica turistica ha ricamato molto, è che Auden e Bargheer da semplici avventori di un locale del centro storico di Forio, il Bar Internazionale (meglio conosciuto come “Bar Maria” dal nome della proprietaria, tale Maria Senese) contribuirono grandemente, sia pure in maniera del tutto involontaria, a quella valorizzazione turistica del territorio che li aveva spinti, prima il poeta inglese e poi il pittore tedesco, a lasciare definitivamente l’isola d’Ischia. In verità, i clienti illustri di questo bar-taverna di fronte l’altrettanto celebre fontana realizzata con i primi fondi della Cassa Del Mezzogiorno, non sono stati soltanto Auden e Bargheer.

Renato Guttuso, Aldo Pagliacci, Alberto Moravia, Libero De Libero, il duca Enrico d’Assia e tanti altri trascorsero moltissime giornate d’estate sotto il pergolato di glicine che ornava l’esterno del locale, alimentando anche loro la suggestione letteraria di un cenacolo culturale all’aperto, così distante, eppure così vicino, ad un tessuto sociale, quello di Forio, che progressivamente passava da un’economia agricola al turismo di massa.

Questo clima culturale si è prima affievolito, poi definitivamente spento negli anni ’70, non senza lasciare tracce in alcuni pittori locali figli di quella stagione e formatisi al cospetto di quelle frequentazioni. Il genio di un pittore come Luigi Coppa o anche la verve polemica della pittura naif di Michele Petroni non si comprendono a pieno se non vengono messi in relazione con l’insegnamento pittorico di Bargheer, nel primo caso, e con il malinconico rimpianto per una stagione fugace, nondimeno intensa, nel secondo.

Resta il fascino di una terra, Forio, il cui caratteristico centro storico come anche la generosità del sole da questo lato dell’isola, continua a evocare la suggestione del riparo, sia pure momentaneo, dalle asperità della vita.