Secondo Augustine e Sybil Fitzgerald, due sorelle americane che visitarono Ischia nell’estate del 1903, il terribile terremoto di Casamicciola di vent’anni prima (1883) una cosa buona l’aveva pur prodotta, avendo salvato l’isola “dall’innovativo deturpamento della vita moderna”.

Scrive Sybil Fitzgerald:

Di quale altro luogo intorno alla costa si può dire giustamente che un edificio è appena sgradevole – che nessun albergo sta come un genere di eliografo per affascinare tutti gli occhi? Di Ischia questo può essere detto in tutta verità. L’isola è completamente ed eccezionalmente bella – un posto per fermarsi con delizia ed andare via con rammarico”.
(Ischia e Capri di Augustine e Sybil Fitzgerald, Imagaenaria, 2008).

Certo, trovare qualcosa di positivo in un evento naturale che aveva causato più di 2000 morti, oltre a tutto il carico di macerie e agli oneri della ricostruzione, è quanto meno discutibile, e però è un fatto che Ischia agli inizi del ‘900 si mostrava come un luogo ancora incontaminato, di “un genere più selvaggio e meno popolato di qualsiasi altro posto di Napoli”.

A seguire l’approccio delle due studiose americane anche le due guerre mondiali – i trent’anni dal 1915 al 1945, con in mezzo il ventennio fascista – possono essere interpretati come fatti storici che hanno contribuito a preservare le bellezze paesaggistiche e ambientali della più grande delle isole del Golfo di Napoli, avendone ritardato l’ingresso in quell’industria del turismo che segnerà invece il destino economico e sociale della comunità locale a partire dagli anni ‘50.

Per gli amanti del paradosso questa lettura risulta senz’altro suggestiva, a patto però di sorvolare sulle condizioni di miseria e deprivazione di larga parte della popolazione ischitana, sulle ondate migratorie verso la Francia, le Americhe e l’Australia che furono la risposta all’affrancamento dal bisogno e sul terribile razionamento dei generi alimentari che caratterizzò la II guerra mondiale. Senza aggiungere che per quanto Ischia fu risparmiata dagli episodi più cruenti della guerra, non ne fu del tutto immune.

Due bombardamenti: il primo, l’8 di settembre del 1943 – il giorno dell’armistizio – per mano degli “alleati” inglesi; il secondo, il 17 di quello stesso mese, ad opera dell’aviazione tedesca distrussero parte del centro storico di Forio e del porto di Ischia.

Gino_LucettiIn questo secondo bombardamento trovò la morte Gino Lucetti, l’anarchico di Carrara che nel 1926 aveva attentato alla vita di Benito Mussolini sul piazzale di Porta Pia a Roma. Liberato dagli Alleati dal carcere di Santo Stefano e condotto ad Ischia in regime di libertà vigilata, si trovava da pochi giorni sull’isola e fatale fu l’udienza concessa a due giovani adolescenti del posto desiderosi di approfondire le posizioni politiche antifasciste. Il 18enne Francesco Buono morì insieme a Lucetti, entrambi colpiti dalla scheggia di una granata tedesca, mentre l’altro giovane, Giosuè Vezzuto, ebbe salva la vita grazie al ritardo con cui raggiunse la Pagoda, amena località sulla riva sinistra del porto di Ischia dove l’anarchico e il giovane Buono ne attendevano l’arrivo.

-Rachele_GuidiMa gli anglo-americani sull’isola d’Ischia confinarono anche Donna Rachele, la vedova di Mussolini, insieme ai figli Romano ed Annamaria. La donna trascorse una decina d’anni in quel di Forio, per l’esattezza in una casa di vico Torrione, vicino la più grande delle torri saracene che dominano lo sky line del paese, salvo poi, nel 1957, avere dal governo italiano il permesso di fittare un modesto appartamento in viale Libia a Roma.

Proprio a Forio, Donna Rachele incontrò il giornalista Bruno D’Agostini, uno dei migliori corrispondenti di guerra del Messaggero di Roma che, con una certa insistenza, riuscì a fare breccia nel muro di silenzio dietro cui si era barricata la vedova del Duce, chiaramente a difesa della privacy dei figli. D’Agostini riuscì a carpire alla donna una serie di impressioni da cui traspare un giudizio, allo stesso tempo tenero e tranchant, sulla figura del marito ucciso a Piazzale Loreto.

Pareva un leone, e invece, tutto sommato, era un pover’uomo” confidò Rachele Guidi in Mussolini al giornalista accorso a Forio in quell’estate del 1946, insieme a tante altre annotazioni di cui successivamente tenne conto lo storico Renzo De Felice nella sua monografia sul capo del fascismo.

Voltate le spalle alla guerra, gli anni ‘50 del ‘900 furono per l’isola d’Ischia il periodo di massimo splendore, grazie soprattutto al “mecenatismo interessato” del Cavaliere Angelo Rizzoli che, per mettere a frutto gli investimenti alberghieri realizzati sul territorio tra il 1951 e il 1957, chiamò a raccolta sull’ “isola verde” il meglio del jet-set internazionale dell’epoca.

angeloRizzoli
Un decennio in cui la fama di Ischia fu la stessa che è toccata poi in sorte ad altre località turistiche, come la vicina Capri, vale a dire quella di meta di un turismo di élite affascinato dall’amenità dei luoghi e dal fermento artistico, in qualche caso “bohemienne” dei suoi frequentatori.

La maturità economica è invece coincisa negli anni successivi con il quasi-monopolio del mercato turistico tedesco, grazie anche alla celebre “svalutazione competitiva” della Lira rispetto al Marco. Il quarantennio che va dai ‘60 fino alla fine del XX secolo è stato il periodo storico in cui le coordinate economiche e sociali dell’isola d’Ischia sono definitivamente cambiate, voltando progressivamente le spalle alla forte identità contadina che per secoli aveva dominato l’immaginario dell’isola, a favore di un’economia turistica dei grandi numeri, legata in massima parte alla domanda crescente del termalismo assistito e alla tradizione della piccola borghesia italiana di concentrare le vacanze ai due mesi di luglio e agosto.

Il nuovo millennio dell’isola d’Ischia si è simbolicamente aperto con la visita pastorale di Giovanni Paolo II nel maggio del 2002, nell’ambito di una serie di incontri preliminari alla Giornata mondiale della Gioventù che quell’anno si svolse a Toronto, in Canada.

giovanni paolo IIjpg
La visita del Papa polacco, segnato dal Parkinson che tre anni dopo ne avrebbe decretato la morte, ha toccato in profondità gli ischitani da sempre ferventi cattolici, fornendo la fede e il giusto coraggio per affrontare le difficili sfide del XXI secolo, senza più le certezze di mercati protetti e con l’obbligo di competere su scala internazionale con altre e più “nuove” località turistiche.