Per anni l’arte, soprattutto la pittura, è stata di casa a Ischia. Hans Purmann, Werner Gilles, Eduard Bargheer, Aldo Pagliacci, Enrico D’Assia e tanti altri trascorsero periodi più o meno lunghi sull’isola d’Ischia, in particolar modo a Forio e Sant’Angelo. Dal contatto con Ischia, assai diversa dalla vicina Capri, quasi tutti trassero nuove fonti di ispirazione inaugurando in più di un caso nuovi cicli pittorici influenzati dalla luce, la natura vulcanica, gli scorci e i frammenti di vita di quest’isola del Mediterraneo.

In diversi casi lo scambio artistico con i pittori locali è stato assai proficuo, al punto che più d’un critico ha teorizzato l’esistenza di una vera e propria scuola di pittura ischitana che avrebbe attraversato, lasciando numerose tracce, tutto il ‘900. Alcuni degli artisti ischitani protagonisti di questa stagione sono ancora vivi, su tutti Gino Coppa. Altri invece, come Gabriele Mattera e Mario Mazzella sono scomparsi da qualche anno. Ciascuno, a suo modo, influenzato da una fermento culturale e artistico che ha dispiegato i suoi effetti sull’isola dagli anni ’40 fino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso.

Manuel Di Chiara è probabilmente l’evoluzione di questo discorso artistico. Un’evoluzione segnata però dalla discontinuità e da un netto capovolgimento di prospettiva sintetizzabile nella rinuncia a “usare” l’isola d’Ischia come fonte di ispirazione e a trasformarla, invece, in luogo privilegiato dove rielaborare immagini, temi, spunti  presi altrove, quasi sempre in ambienti metropolitani dove poco o nullo è lo spazio per la natura. Per altro verso, la continuità con il ‘900 ischitano sta nel netto rifiuto di un piatto vedutismo panoramico che, quasi sempre, è quello che superficialmente ci si aspetta da un artista ischitano: panorami, paesaggi, tramonti che nella pittura di Manuel Di Chiara sono del tutto assenti. La preferenza va a macchine, lampioni, semafori, gru, container, pedane, cargo, porti. Riprendendo le parole dell’artista “a tutto ciò che sa di olio e grasso per motori“, con una tecnica pittorica in cui è evidente una grande conoscenza della fotografia a dispetto della timidezza manifestata dall’artista sul punto.

L’altra passione è il design di interni. Un’esigenza figlia del bisogno di staccarsi periodicamente dalla pittura per riappropriarsi di quella manualità sviluppata negli anni napoletani del Liceo Artistico e dell’Accademia delle Belle Arti e approfondita poi come manovale nei reparti di scenografia cinematografica nei primi anni di lavoro dopo gli studi. Del resto, anche Aldo Pagliacci era un affermato liutaio con una forte passione per l’incisione su legno, ferro, rame, zinco, e lo stesso Manuel Di Chiara ha più volte dichiarato, tra il serio e il faceto, che se non avesse scelto di fare l’artista probabilmente avrebbe imparato il mestiere del carrozziere o del falegname. A dimostrazione che la versatilità è un ingrediente indispensabile per proseguire e arricchire il proprio discorso pittorico.

Quasi fosse un segno del destino, Manuel Di Chiara ha un piccolo studio alle spalle del Bar Maria, il locale a cui tavolini hanno trascorso intere giornate gli artisti che hanno reso celebre Forio. Chissà perciò che questa continuità fisica non si traduca nella ripresa di quel fermento culturale e artistico cui si è fatto riferimento poc’anzi. L’augurio è rivolto all’artista, al Bar Maria, a Forio e alla splendida isola d’Ischia.