Ischia, ovviamente, non è solo turismo. Dagli studi e dalle ricerche archeologiche effettuate dal grande prof. Giorgio Buchner (1914 – 2005) e da don Pietro Monti, rettore del Santuario di S. Restituta in Lacco Ameno, sono emerse ipotesi abbastanza attendibili circa l’epoca in cui si sono avuti i primi insediamenti dell’uomo sull’isola. Dalle ossa di natura umana rinvenute sulla collina di S. Michele e a Campagnano (Ischia), è stata appurata la presenza dell’uomo già nel 3500 a.C. (età neolitica).

Giorgio Buchner

Giorgio Buchner durante gli scavi a Lacco Ameno

Negli anni ’50 del secolo scorso, il prof. Giorgio Buchner porta alla luce un gruppo di tombe ai piedi della collina di Monte Vico, che certamente “… facevano parte di una necropoli contenente almeno un migliaio di sepolture dell’epoca tra VIII e il VII secolo“.

A Monte Vico, inoltre, sono stati individuati i resti di antiche fornaci e moltissimi frammenti di oggetti di creta, sembra prodotti in fabbriche costruite in loco dai Calcidesi, maestri in questo tipo di manifattura. Considerato, poi, che in greco pithoi significa appunto vasi di creta, molti studiosi hanno desunto da quest’etimo il perchè l’isola d’Ischia era anticamente conosciuta con il toponimo di Pithecusa o anche Pithekussai (al plurale). Altri invece sostengono che il nome Pithecusa sia di origine fenicia e non greca, e deriverebbe da “pithecas-e sandes ignem“, cioè terra cosparsa di fuoco, come effettivamente la violenza e la ricorrenza delle sue diverse eruzioni vulcaniche stavano lì a testimoniare.

La storia della colonizzazione greca dell’isola d’Ischia ad opera di Calcidiesi ed Eretriesi provenienti dall’isola di Eubea è, a tutt’oggi, non ancora interamente chiarita: se è fuor di dubbio che fu l’insediamento in prossimità della collina di Monte Vico (Lacco Ameno), quello più importante, il ritrovamento, tra il 1993 e il 1995, nella zona Sud-Ovest dell’isola, in località Punta Chiarito (Forio) di una fattoria di agricoltori, ha indotto gli studiosi quanto meno a ripensare la cronologia degli insediamenti, collocandoli una ventina d’anni prima rispetto all’ipotesi originaria.

Quel che è certo è che fu l’instabilità sismica del territorio a determinare il progressivo spopolamento dell’isola a favore di Cuma, celebrata poi, come sappiamo, erroneamente, per decenni come primo insediamento della Magna Grecia.

Nel IV secolo a.C., Ischia fu ceduta dai Cumani a Gerone I, tiranno di Siracusa, in cambio dell’appoggio decisivo ottenuto da questi nella guerra, vinta, contro i Tirreni (Etruschi).

Nacque così sull’Isola una colonia Siciliana e, forse, il primo nucleo di difesa sullo scoglio su cui oggi insiste il Castello Aragonese (474 a.C.).

Il Castello Aragonese di Ischia Ponte

Il Castello Aragonese di Ischia Ponte

Presto anche i siracusani, a causa delle continue eruzioni vulcaniche, che in quel periodo (sul finire del 400 a.C.) portarono alla formazione del promontorio di  Zaro (Forio), preferirono ritornare nelle loro terre.

Dopo i Greci fu la volta dei Romani. Nello specchio d’acqua davanti l’isolotto del Castello Aragonese, sul versante orientale dell’isola in località Cartaromana (Ischia), sono stati trovati reperti di un’antica fabbrica di vasellame ed una fonderia di stagno e piombo, da cui pare l’altro antico nome di Ischia, Aenaria.

Va detto che i romani non investìrono più di tanto su Ischia. Sicuramente non come fecero a Cuma, Baia, Pozzuoli, Capri.

Archiviata la dominazione romana, breve, ma nient’affatto irrilevante, la storia di Ischia coincide con l’evoluzione storico-politica del Regno di Napoli.

Alfonso V d'Aragone detto "Il Magnanimo"

Alfonso V d'Aragonadetto "Il Magnanimo"

Particolarmente turbolento il periodo rinascimentale con Ischia più volte protagonista dei successivi conflitti tra la casa regnante Aragonese, prima, contro gli Angioini, poi, contro le truppe francesi di Carlo VIII. Nel 1464 il figlio di Alfonso V d’Aragona (1396 – 1458), Ferrante, legittimo erede del Regno di Napoli, sconfisse, al termine di una violentissima battaglia navale lungo le coste dell’isola, la flotta di Giovanni D’Angiò.  Nel 1495 Ferrante II, promogenito di Alfonso II d’Aragona, ritiratosi alla volta del Castello d’Ischia per sfuggire all’entrata in città di Carlo VIII, organizzò dalla roccaforte ischitana il primo nucleo di resistenza contro l’invasore francese affidando al fedele Innico d’Avalos il comando della fortezza ischitana. La resistenza del Castello Aragonese ai francesi fu talmente stoica che, l’anno successivo, Ferrante II nel ritornare vittorioso nella città di Napoli, volle prima far nuovamente tappa sull’isola per ringraziare il popolo e la famiglia alleata dei d’Avalos per la fedeltà dimostrata alla casa regnante, proprio nel momento della massima avanzata delle truppe francesi. Anche Ludovico Ariosto volle celebrare nel suo “Orlando Furioso” l’eroica resistenza degli ischitani: “Vedete Carlo ottavo che discende Dall’Alpe, e seco è il fior di tutta Francia, Che passa il Uri, e tutto il regno prende, Senza mai stringer spada e abbassar lancia, Fuorché lo Scoglio ch’a Tifeo si stende Su le braccia, sul petto e su la pancia; Che del buon sangue d’Avolo al contrasto La virtù trova d’Inico del Vasto”.

Vittoria ColonnaTuttavia, pur tra invasioni e lotte intestine l’isola conobbe nel periodo rinascimentale anche un profondo miglioramento delle sue condizioni socio-culturali. Vuoi per i molti privilegi accordati in segno di riconoscenza da Ferrante II, vuoi per la presenza successiva, siamo nella prima metà del ‘500, della poetessa Vittoria Colonna, moglie di Ferrante d’Avalos, che tra le mura del Castello mise su un vero e proprio cenacolo artistico letterario, cui ebbe l’occasione di partecipare, tra gli altri, anche il grande Michelangelo Buonarroti.

Proprio in quegli anni però le invasioni dei Saraceni, o Mauri come venivano chiamati, con il loro corredo di devastazione e saccheggio si fecero più insistenti, tanto che gli abitanti dell’isola, soprattutto quelli più esposti del casale di Forio, nella parte occidentale, sentirono l’esigenza di costruire una serie di “osservazioni fortificate”, che servissero da avvistamento e difesa contro i violenti depredatori turchi. Il complesso sistema di torri e il dedalo di vicoli che si dipana attorno ad esse è ancora la cifra architettonica di questo comune che si distende da nord a sud lungo tutto il verante costiero occidentale dell’isola.

 

Il Torrione, simbolo di Forio

Il Torrione, simbolo di Forio, è una torre di avvistamento pirati

Dopo gli Aragonesi fu la volta dei Borbone, cui l’isola deve la realizzazione di molte infrastrutture decisive per lo sviluppo successivo del territorio. Su tutte, l’inaugurazione del Porto d’Ischia per mano di Ferdinando II, nel 1854.

Va detto che in quegli anni, immediatamente precedenti all’avvento dell’unità d’Italia, i Borbone trasformarono il Castello Aragonese, prima in una colonia penale, poi in un carcere politico dove rinchiudere i sostenitori napoletani del Risorgimento. Nelle mura del Castello Aragonese transitarono, prigionieri, personaggi del calibro di Silvio Spaventa, Tullio Pironti, Carlo Poerio e Luigi Settembrini.

La storia post-unitaria dell’isola d’Ischia è la storia delle difficoltà legate ai due successivi conflitti mondiali, con un fortissimo tributo pagato sia in termini di emigrazione oltre oceano – una prima volta agli inizi del ‘900, poi dopo la fine della seconda guerra – sia con i tanti caduti sul campo per servire la Patria. Successivamente, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, l’avvento del turismo ha riscattato l’isola e i suoi abitanti da un’economia di sola sussistenza, legata per lo più all’attività contadina, al piccolo commercio e in minor parte ai proventi della pesca.