Ci sono due modi di andare alla scoperta del centro storico di Forio. Il primo è seguire il percorso che parte dalla chiesa del Soccorso e prosegue con l’Arciconfraternita di Visitapoveri e le due basiliche pontificie di Santa Maria di Loreto e  San Vito.  L’altro è “affrontare” il singolare tracciato urbano che si sviluppa attorno le torri di avvistamento, rifugio e difesa disseminate per il paese. I cosidetti “vicoli  saraceni“: vico Torrione; via Sant’Antonio Abate; via Casa Patalano; via Costantina; via San Giovanni; vico Albergo; via Vecchia; via Casa Di Maio; via II Casa di Maio; via Cesare Piro; via basso Cappella; via Peschiera; via Funno; via Gaetano Morgera; vico I Pero; Vico II Pero, vico Schiano ecc.

Un intricato sistema viario, con uscite in quasi tutti i punti del paese, che obbediva alla medesima necessità difensiva delle torri: disorientare i pirati ottomani e guadagnare tempo per la fuga. C’erano però altri due nemici – “sole” e “vento” il loro nome – da cui bisogna(va) assolutamente difendersi e che spiegano la genesi di soluzioni urbanistiche e architettoniche così particolari. Due terribili minacce soprattutto per gli orti domestici che si provvide quindi a proteggere con vicoli ciechi, mura alte e le immancabili “parracine“, i tradizionali muri a secco realizzati con la pietra di tufo verde locale.

Il bisogno di “protezione” spiega anche la grande presenza di edicole votive che, insieme alle tante botteghe artigiane presenti e poi progressivamente scomparse, fungevano pure da segnaletica stradale, segno distintivo delle famiglie che abitavano, e in molti casi abitano ancora, questo dedalo di viuzze tutt’attorno il centro storico e il corso principale di Forio.

Molto è andato perso, tanto però è rimasto uguale: il fischio del maestrale che si infila nei vicoli; il rumore del mare in sottofondo; i portali di ingresso in piperno o pietra verde, le arance e i limoni che fanno capolino oltre le mura delle abitazioni, il basolato, le chiese. Certo, quelle “principali” cui si è accennato all’inizio, ma anche alcune “minori“, come il Santuario della Madonna della Libera, curiosamente intitolato a San Carlo Borromeo, un santo “menghino” (San Carlo era l’Arcivescovo di Milano) certamente poco “napoletano“, figurarsi  “ischitano” e “foriano“.

E invece, non solo a Forio c’è la Chiesa di San Carlo Borromeo ma, a detta di molti, è una delle più belle dell’isola, quasi interamente costruita con il tufo verde del Monte Epomeo e pinacoteca di Cesare Calise, pittore foriano del ‘600 che insieme ad Alfonso di Spigna ha lasciato molte tracce del suo talento in giro per l’isola d’Ischia.

Insomma i vicoli saraceni sono la “casbah” di Forio, un luogo dove vale la pena “perdersi” e catturare quei particolari dell’architettura mediterranea altrove completamente scomparsi.

Magia dell’isola d’Ischia!!!