A Ischia affermare che pure le pietre sono “leggenda” non è un semplice modo di dire. Sull’isola più grande del Golfo di Napoli quasi tutti gli scogli, gli anfratti, le grotte che si incontrano lungo la costa sono al centro di storie, aneddoti, racconti mitici che si tramandano da generazioni.

Per dire, la “Grotta del Mago”, tra la baia di Cartaromana e Punta San Pancrazio, negli anni ‘30 del secolo scorso fu addirittura al centro di una disputa accademica. Protagonisti due gruppi di studiosi, divisi tra chi sosteneva fosse un tempio dove venivano officiati antichi culti pagani e chi – come Giorgio Buchner, l’archeologo cui si deve la fondamentale scoperta della Coppa di Nestore -, riteneva, al contrario, si trattasse di una “semplice” grotta scavata dall’incessante azione del mare.

Ancora, il “Fungo” a Lacco Ameno, che nella fantasia del poeta e scrittore locale Giovangiuseppe Cervera diventa “dimora eterna” di due giovanissimi amanti a cui il fato aveva negato la fuga in mare. Senza dimenticare le rocce dalle forme bizzarre, in qualche caso vere e proprie sculture naturali, come gli “Scogli Innamorati” a Forio, il “Piede di Maradona” poco prima di arrivare a Sant’Angelo, e la “Pietra dell’Elefante” attaccata alla “Torre”, l’isolotto tufaceo che geograficamente è il punto più a sud dell’isola d’Ischia. A sua volta collegato alla piazzetta di Sant’Angelo da un istmo in pietra che divide in due la spiaggia dell’esclusivo borgo.

C’è però una pietra che sarebbe addirittura collegata a un episodio fondamentale dell’Odissea di Omero: lo sbarco di Ulisse sul lido di “Scheria”, l’isola dei Feaci. La pietra in questione è “La Nave”, a largo di Punta Imperatore a Forio, chiamata appunto così perchè sarebbe la galea che Alcinoo, re dei Feaci, avrebbe messo a disposizione di Ulisse per accompagnarlo a destinazione nel suo viaggio di ritorno a Itaca. Poseidone, il dio del mare, per vendicare suo figlio, il ciclope Polifemo, avrebbe pietrificato il vascello poco prima di entrare in rada, impedendo così all’equipaggio di festeggiare la missione condotta positivamente a termine.

Secondo lo storico francese Philippe Champault – che il comune di Ischia ricorda con una piccola strada attigua alla spiaggia dei Pescatori – l’isola dei Feaci di cui parla Omero sarebbe proprio l’isola d’Ischia. E di conseguenza “Scheria” (sarebbe) il topos originario da cui, per successivi addolcimenti fonetici, scaturirebbe il nome “Ischia”.

Una tesi che all’epoca – i primi del ‘900 -, fece scalpore tra i grecisti. Convinti, i più, che i Feaci fossero un’invenzione omerica, oppure, seguendo Tucidide, che “Scheria” fosse in realtà Corfù. Probabilmente Champault fu persuaso dai racconti di epoca classica che descrivevano i Feaci come un popolo felice e prospero, in contrasto con le asperità della vita che invece contrassegnavano l’esistenza dei greci. Una suggestione, quindi, che trovava conferma nell’effettiva prosperità dell’isola d’Ischia, a cui la natura vulcanica del suolo ha sempre garantito molti frutti, così come la collocazione strategica in mezzo al Mediterraneo, (ha sempre garantito) un mare pescosissimo.

Resta il fascino della Pietra della Nave, tra i punti di immersione più belli per gli amanti del diving a Ischia, che infatti hanno cominciato ad occuparsi direttamente della tutela del sito, segnalando alle istituzioni, specie l’Area Marina Protetta “Regno di Nettuno”, le infrazioni commesse in zona da natanti e pescherecci. Ne va dell’incolumità di chi si immerge in queste acque; ne va della salvaguardia di uno scoglio “leggendario“, la cui storia è veicolo di conoscenza nel mondo della “bella” isola d’Ischia.