Uno degli aspetti più significativi dell’architettura mediterranea è la coesistenza – qualcuno ha parlato di “contrasto armonico” – tra i palazzi nobiliari e le case del popolo. Un gioco di alto/basso; colto/popolare che ha una delle testimonianze più fulgide nel borgo di Ischia Ponte e ancor più nella vicina Mandra.

In verità, l’occhio attento nota che tra le case patrizie e quelle dei pescatori ci sono molti punti di contatto: i portali d’ingresso; i colori tenui dell’intonaco; gli archi, e soprattutto il modo di aggregare gli ambienti attorno a uno spazio libero, che sia il cortile interno dei palazzi o lo slargo davanti le abitazioni disposte “a schiera” faccia al mare.

La Mandra, il dedalo di vicoli e stradine attorno la Spiaggia dei Pescatori, è l’emblema perfetto di come le case “vivono” nel panorama in cui sono inserite. E che panorama – è il caso di dire – con il Castello Aragonese sulla destra e le sorelle Vivara e Procida di fronte.

Per non parlare dei panni stesi sulla spiaggia e i gozzi tirati quasi a ridosso delle abitazioni. Tutti elementi che concorrono a definire un paesaggio unico e ancor più “unificato” da un profondo sentimento religioso che “passa” per l’adorazione del patrono San Giovan Giuseppe della Croce e di Sant’Antonio da Padova, il frate cui era intitolata l’attuale chiesa di Santa Maria Delle Grazie, con annesso convento francescano. Pare, addirittura, il più antico dell’intera Campania.

C’è un’altra fertile contraddizione che “anima” la Mandra ed è la convivenza estiva tra due “tipi” caratteriali assai distanti, all’apparenza irriducibili: il pescatore ischitano, abituato alla fatica dei remi, degli ami, delle lenze e delle reti da rammendare, contro l’invadenza “scugnizza” partenopea che a luglio e agosto “prende possesso” della spiaggia, delle case e dei chioschi tutt’attorno il litorale.

E invece non solo la convivenza ha storicamente funzionato, ma anche alimentato le suggestioni di un grande scrittore come Erri De Luca che più volte nei suoi romanzi ha rivendicato il ruolo che Ischia e la spiaggia dei Pescatori hanno avuto nella sua formazione umana e artistica.

Scendevo alla spiaggia dei pescatori, stavo i pomeriggi a guardare le mosse delle barche. Con il permesso di mamma potevo andare su una di quelle, lunghe, coi remi grossi come alberi giovani. A bordo facevo quasi niente, il pescatore si faceva aiutare in qualche mossa e mi aveva insegnato a muovere i remi, grandi il doppio di me, stando in piedi e spingendo il mio peso su di loro a braccia tese e in croce. […] Al pescatore serviva in qualche momento la mia piccola forza ai remi. Non mi faceva accostare agli ami, alle lunghe lenze col piombo di profondità. Erano attrezzi di lavoro e stavano male in mano ai bambini. In terraferma, a Napoli, invece stavano eccome i ferri e le ore di lavoro sui bambini.” (Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi, Feltrinelli editore, 2011)

Lo “spirito popolare” di Ischia trova così un significato diverso rispetto alla critica di chi vi ha sempre opposto come modello da seguire la vocazione elitaria di altre località turistiche della Campania. Ischia nelle parole di De Luca diventa il luogo del riscatto, un “altrove” a due passi da Napoli in grado di lenire le ferite e i guasti della città.