Chi ha in mente i panorami, gli scorci, la natura, il mare di Ischia e pensa ingenuamente che la pittura, in un posto del genere, non possa far altro che dedicarsi al vedutismo panoramico, deve “fare i conti” con l’arte di Giuseppe “Bolivar” Patalano. Con l’arte, ma ancor di più con la vita da romanzo di quest’artista “sui generis” nato a Forio nel 1901 e morto a 80 anni dopo aver vissuto molte vite in una.

Prima, un’adolescenza avventurosa: mozzo, appena quattordicenne, su diverse navi mercantili alla volta di India, Cina, Hong Kong.

Poi emigrante a Providence, Stati Uniti, presso un fratello maggiore, occupato in mille mestieri: cameriere, rappresentante, cassiere in banca e pure giornalista, proprio come il padre Luigi Patalano, ideatore e primo proprietario di quella che poi diverrà La Colombaia di Luchino Visconti.

Ancora, la Grande Depressione del 1929 che come un buco nero inghiottisce cose e persone, compreso la vita di Giuseppe Patalano. Forse un’amnesia, forse il coinvolgimento più o meno diretto in un omicidio, fatto sta che agli inizi degli anni ‘30 di lui si perdono le tracce in un ospedale psichiatrico da qualche parte in America.

Infine, dopo 15 anni (dal 1934 al 1949) di incubi, angosce e sofferenze, il ritorno a casa a seguito del pronunciamento di un giudice che ne ordina l’estradizione dagli Stati Uniti.

Escluso dall’asse ereditario dai fratelli che lo credevano morto; senza lavoro, senza pensione, Giuseppe Patalano prende finalmente in mano la sua vita e comincia a dipingere. Prima di notte per placare l’insonnia febbrile, poi anche di giorno, a casa, per strada, ovunque, fino a quando di lui non si accorge un’artista svizzera, Lelò Fiaux, che ne intuisce il talento, lo indirizza al figurativismo e organizza per Giuseppe “Bolivar” Patalano due personali a Losanna nel 1956 e nel 1961.

In quegli anni Forio vive una breve ma intensa stagione artistica di cui sono protagonisti personalità della letteratura come Auden e Moravia, della pittura come Bargheer e Pagliacci, della poesia e della critica letteraria come Libero De Libero. E poi saltuariamente Guttuso, Elsa Morante, Enrico D’Assia e tanti altri, tutti riuniti ai tavolini di un’osteria con un bel pergolato di glicine al centro di Forio: il Bar Internazionale di Maria Senese.

E quell’ambiente cosmopolita che contribuisce all’emancipazione artistica del cinquantenne Patalano che, oltre a frequentare Auden, uno dei massimi interpreti della letteratura e della poesia anglosassone del ‘900, trova anche l’amore di Maria Maddalena, una conterranea in grado di scrutarne l’anima e lenirne la sofferenza psichica accumulata in quasi vent’anni di ospedale psichiatrico.

È la svolta. Si racconta che a Lugano, tanto era lo stupore per quei ritratti “fra il diabolico e l’estatico inafferrabile” (cit.), la gente facesse la fila al cavalletto di “Bolivar” come alla porta dello psicanalista.

Negli anni successivi, Giuseppe Patalano è stato paragonato a Rembrandt, Cezanne e pure a Van Gogh. Astrattista, impressionista, espressionista, le definizioni che lo hanno riguardato, alle quali però l’uomo ha sempre opposto una semplice constatazione, figlia della familiarità con le antiche maestranze dell’isola d’Ischia: “io sono un muratore“.

Giuseppe Patalano è morto nel 1981, lasciando in eredità una gran quantità di opere e, soprattutto, la sua autobiografia “Bolivar” scritta e pubblicata in inglese nel 1977, quattro anni prima della sua scomparsa, su incoraggiamento dell’amico poeta Auden.

A seguire alcune delle parole più belle mai spese dalla critica su Giuseppe “Bolivar” Patalano. Estratti delle recensioni contenute nel bel libro “Artisti dell’isola d’Ischia” a cura di Massimo Ielasi (Società Editrice Napoletana,1982)

“Un volto in apparenza ti sorride; poi, fissandolo, quel sorriso si traforma in un ghigno, si dilata e ti lascia sospeso a mezzo fra il diabolico e l’estatico inafferrabile”. (Ettore Settanni)

La sua è pittura dal di dentro. […] Le sue facce sono solchi nella terra. […] I suoi ritratti sono allucinanti, crudeli, grotteschi, brutali (…) è un mediterraneo ingenuo, senza retorica, nato dalla sua scuola: quella di non averne frequentata nessuna e di avere fondato la sua”. (Manlio Miserocchi)

T’accosti ed ogni dipinto ti scruta e t’arresta con gli occhi brucianti, fondi di nero, (…) solo a dipingere ancora con quel suo modo divisionista d’espressionisno dolente”. (Ercole Camurani)