Uagliù, cughite l’acene ‘a terra ca ‘u vine se fa cu’ ll’uva e nno cu’ le struppune“. L’ammonimento di “Don Giuseppe“, il proprietario della vigna, è sì rivolto agli operai in quel momento impegnati nella raccolta dell’uva (trad. “Ragazzi, raccogliete gli acini da terra, perchè il vino si fa con l’uva e non con i raspi”) ma, a leggere tra le righe, è quasi una “frase-manifesto” in grado di rendere plasticamente le condizioni di vita dei contadini di “Merecoppe”, la parte alta dell’isola d’Ischia”. Le condizioni materiali, e di conseguenza lo stile di vita dei contadini ischitani, che dalla meticolosa cura dei terrazzamenti coltivati a “furastera” e “ianculella”  (“forastera” e “biancolella”) fino agli anni ’50 del secolo scorso traevano il poco denaro necessario a sopravvivere.

Magari poi succedeva che il vino, arrivato a Napoli, “veniva etichettato Capri o Vesuvio”, come ci ricordano i coniugi Bret Harte, ma ai contadini di Merecoppe quest’aspetto poco importava. Per i braccianti agricoli dell’isola d’Ischia contavano solo le “matinate” (dalle 5.00 alle 12.00) e le “serate” (dalle 14.00 alle 21.00) che si riusciva a fare nei campi. Specie d’estate, infatti, servire due padroni nel corso della stessa giornata significava riscuotere due paghe da portare a casa.

In alternativa – si fa per dire – conveniva servire un unico padrone per tutta la vita. Come fa “Lumminico” (Domenico) che trascorre tutta la sua esistenza nella terra di “Don Francisco“, fino alla morte che, improvvisa, lo coglie all’ombra di un pampino di vite al termine di una mattinata passata a “scorrere” (zappare) il terreno attorno le viti.

Don Giuseppe, Lumminico, sono solo alcuni dei personaggi che Giovanni Antonio Mattera, alias Nino Caparossa, fa muovere sulla scena di “Merecoppe” (Imagaenaria, 2002). Il sottotitolo di copertina è “Storie di miseria e di grazia nelle terre d’Ischia” a chiarire, da subito, che i due aspetti nel libro vanno assieme, non sono mai disgiungibili l’uno dall’altro.

Il presente turistico ha irrimediabilmente cancellato molte delle scene narrate nel libro. Non tutto, però, è andato perduto. Ancora oggi, infatti, chi vuol approfondire l'”anima di terra” dell’isola d’Ischia,  farà bene ad andare alla scoperta di Serrara Fontana, sospesa fra tradizione e modernità.

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